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Data Evento
dal 12 al 23 Novembre 2017
Ore
21.00
Autore
Giuseppe Manfridi
Regia
Walter Manfrè
Con
Andrea Tidona, Chiara Condrò, Stefano Skalkotos, Cristiano Marzio Penna

“La cena”, testo scritto da Giuseppe Manfridi in varie edizioni, la prima delle quali tenendo conto delle esigenze di realizzazione del regista Walter Manfrè, è un anello fondamentale all’interno del “Teatro della Persona” definizione programmatica che si deve al critico Ugo Ronfani che così, nel ’93, sintetizzò il senso della poetica espresso dal percorso registico di Manfrè. Un percorso che si è sostanziato in una serie di spettacoli rispondenti a caratterisitiche particolari una delle quali è sicuramente l’annullamento della distanza tra pubblico e spettatore e l’assegnazione a quest’ultimo di un ruolo all’interno del dramma senza che ciò possa mutare lo svolgimento della “trama”. Un altro elemento di questo teatro è individuabile chairamente nella coesistenza all’interno dell’evento di due elementi contrastanti – il ludo e il Rito – che consentono al plot di intraprendere percorsi imprevisti ed emozionalmente più forti rispetto a quelli concepiti sul protagonismo del solo Rito. Ciò consente di recuperare quella teatralità che è sempre nel mirino del regista intenzionato a far sì che il pubblico, pur lasciandosi andare al flusso di imbarazzi e turbamenti che la situazione propone, non dimentichi mai di essere a teatro. Per tornare al Rito, tutte le operazioni di Manfrè ricollegabili al teatro della Persona sono calate dentro un’ambientazione dove il cerimoniale assume una segnata connotazione centrale (La confessione, Visita ai parenti, Il letto, Il viaggio per finire alla Cerimonia dove questo elemento assume la sua configurazione più pressante). Tornando alla Cena, dove il maggiordomo è solo inizialmente sussiegoso Maestro di cerimonia, la tavola trasmuta da aggregante perno conviviale, in ara sacrificale, in scandaloso palcoscenico allestito per turpi rappresentazioni. Quasi in dissolvenza incrociata e sotto gli occhi dello spettatore durante il dipananrsi della vicenda. La scrittura di Manfridi, poeta psichiatrico, sadico visionario, che come nessuno sa descrivere il progressivo sgretolarsi del titanico eroe alfieriano fino alla patetica rappresentazione di se stesso in mutande, segue con occhio crudele i propri personaggi incline solo a qualche tenerezza verso il mondo femminile. Ma la scrittura è di qualche anno fa. Chissà oggi, dopo la scoperta da parte di sociologi e psicologi della “ sindrome della donna-astio”, quale sarebbe il suo epilogo.