Fuori Abbonamento
Da dove cominciare per raccontare le vicissitudini che portarono alla pubblicazione di un libro come “Il dottor Zivago”? E soprattutto “come” raccontare questa storia, dal momento che è così rocambolesca da non sembrare neanche vera? Meglio dire “perché” raccontarla: perché “Il dottor Zivago” rappresenta un caso emblematico dell’urgenza di esprimersi, dell’incontrollabile necessità di far sentire agli altri la propria voce. Sulla scena, un solo attore incarna tutti i personaggi, accompagnato da una curiosa macchina scenica, una sorta di “scatola delle meraviglie” capace di simulare luoghi e suoni della memoria. È questo il caso di confdare nella potente carica evocativa di certe immagini o di certa musica nel trasportarci altrove; tanto più che l’altrove è un passato recente già radicato in ciascuno di noi, fatto di foto in bianco e nero, di storiche collane di libri, di flm entrati nell’immaginario collettivo. L’azione restituisce l’accelerazione del testo, che vede precipitare la situazione quando passa da un fatto privato, la redazione del manoscritto, a un affare di Stato. Siamo negli anni ‘50 del secolo scorso, nel pieno della Guerra Fredda: Unione Sovietica e Stati Uniti portano la tensione a un livello altissimo, tanto che per impedire la pubblicazione del libro vengono coinvolti i più alti gradi della politica, della diplomazia e dei servizi segreti di diversi Paesi. Eppure questa storia lascia intatta l’anima dei due protagonisti, Pasternak e Feltrinelli, che sono stati in grado di pubblicare il manoscritto così come era stato pensato, senza omissioni e senza censure, cioè senza tradirlo.